• Enzimi della fatica muscolare: rabdomiolisi

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    Enzimi della fatica muscolare: rabdomiolisi

    Il soggetto che viene colpito da un grave danno a carico del muscolo scheletrico risente del rilascio nel torrente sanguigno di sostanze come mioglobina, calcio, potassio ed acido urico ma anche degli enzimi CPK, LDH, ALT, AST che sono stati definiti gli enzimi della fatica muscolare che indicano la presenza di un danno muscolare. Si parla nello specifico di rabdomiolisi se si evidenzia una rottura delle cellule del muscolo scheletrico che determina il versamento a livello ematico di alcune sostanze contenute nella muscolatura con coinvolgimento diretto di vari enzimi diffusi nei muscoli striati volontari. La rabdomiolisi viene di solito determinata da un eccesso di richiesta energetica su muscoli scheletrici in seguito a diverse condizioni quali: disturbi metabolici, attività contrattile intensa, distrofie muscolari, ipertermia, ipotermia, ischemia, infezioni, convulsioni, traumi, shock elettrico. Anche alcuni farmaci possono causare rabdomiolisi in quanto vanno ad alterare i livello dell’ATP (adenosinatrifosfato) dei muscoli scheletrici, provocando un incremento della richiesta di energia tanto da superare la produzione di ATP; inoltre si può verificare un aumento della concentrazione ematica della creatinchinasi in relazione ad un possibile danno muscolare all’assunzione di statine prescritte come cura per abbassare i livelli di colesterolo nel sangue. Altre notizie su Danno muscolare aumento dei livelli sierici della creatinchinasi. Continue reading

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  • Ligasi quale compito svolge

    Ligasi quale compito svolge

    Un enzima come la ligasi ha il compito di catalizzare la formazione del legame tra due molecole creando una nuova molecola a cui si accompagna l’idrolisi di una molecola, nello specifico questa classe di enzimi favorisce la formazione di legami C-C, C-S, C-O e C-N fra molecole differenti tramite delle reazioni di condensazione accoppiate. Questa classe di enzimi contempla le polinucleotidi l. (DNA l. e RNA l.) la DNA l. nello specifico prende parte nella ricombinazione del DNA e nei processi di riparazione in presenza di danni causati da radicali liberi o da radiazioni ionizzanti. La DNA ligasi è un enzima appartenente alla categoria delle ligasi, capace di legare due frammenti di DNA dopo aver subito una rottura a doppio filamento, questa sostanza proteica è capace di riparare una rottura a singolo filamento, nello specifico questo enzima prende parte al processo di replicazione del DNA: la DNA ligasi agisce sul filamento che ha la direzione 3′->5′, sintetizzato a frammenti di Okazaki. L’enzima è in grado di congiungere due frammenti di DNA attraverso un legame covalente fosfodiesterico tra la terminazione 3′-OH di un nucleotide e la coda 5′-P dell’altro: di fatto la DNA ligasi stimola la formazione di legami covalenti fosfodiesterici tra nucleotidi di DNA adiacenti. Altre notizie si trovano su Enzimi bersaglio per contrastare patologie endocrine e tumorali. Continue reading

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  • Ictus enzima NOX4

    Ictus enzima NOX4

    La ricerca di nuove cure per l’ictus ha portato negli ultimi anni a diverse scoperte interessanti che lasciano intravedere dei risvolti positivi nei confronti della seconda causa principale di morte nel mondo. Un team internazionale di ricercatori ha scoperto che la maggior parte del danno causato in seguito ad un ictus può essere attribuito all’enzima NOX4, che produce perossido di idrogeno (H2O2), un composto chimico che si ritrova in prodotti per candeggiare. I ricercatori hanno riscontrato che per poter curare gli ictus si può nibire l’attività di tale enzima responsabile del danno causato alle cellule cerebrali nel periodo successivo ad un evento ischemico. Lo studio pubblicato nella rivista PLoS (Public Library of Science) Biology, ha spostato l’attenzione dei ricercatori dallo stress ossidativo verso l’enzima NOX4, prima si auspicava la cura di pazienti con antiossidanti ma questo approccio ha risentito di diversi fallimenti negli studi clinici. Nello studio internazionale, gli scienziati provenienti da Australia, Germania, Paesi Bassi e Regno Unito hanno adottato un approccio differente volto a bloccare la produzione dei ROS “specie reattive dell’ossigeno”, per ottenere questo obiettivo sono stati progettati dei topi sprovvisti del gene che produce NOX4, i topi colpiti da un ictus hanno evidenziato una minore entità di danni celebrari rispetto ai topi dotati del gene NOX4. Per approfondimenti si rimanda alla lettura di http://www.molecularlab.it/news/view.asp?n=6948. Continue reading

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  • Difetti nella glicosilazione: coinvolgimento di diversi enzimi

    Difetti nella glicosilazione: coinvolgimento di diversi enzimi

    In presenza di difetti nella glicosilazione, possono evidenziarsi delle malattie genetiche caratteristiche che determinano il quadro clinico di disturbi congeniti della glicosilazione, un processo cellulare che identifica consiste nell’aggiunta di zuccheri a delle specifiche proteine che si articola in diverse reazioni con interessamento di vari enzimi che prendono parte ai vari passaggi. Per determinare lo sviluppo di queste malattie genetiche basta che il soggetto evidenzi una carenza a carico di un unico enzima che attiva il mancato funzionamento delle proteine che richiedono l’impiego di un’adeguata componente zuccherina. Il quadro sintomatologico di questo gruppo di malattie genetiche prevede la manifestazione di diversi disturbi proprio perché il processo di glicosilazione coinvolge numerose proteine che prendono parte alle varie funzioni all’interno di una cellula. Nella maggioranza dei casi clinici si rilevano delle alterazioni a carico della fosfomannomutasi 2 (PMM2), il deficit che interessa questo enzima determina il quadro patologico della PMM2-CDG: si tratta della forma più frequente della sindrome CDG caratterizzata da disturbi dell’alimentazione, diarrea, ritardo della crescita, ritardo psicomotorio, neuropatia periferica, encefalopatia con ipotonia assiale, movimenti oculari anomali, ipoplasia cerebellare, episodi simil-ictus e retinite pigmentosa. Invece il disturbo della glicosilazione di tipo 2E (CDG IIe) determina alterazioni della morfologia dello scheletro, riduzione di tono degli organi, insufficienza cardiaca, aumento di volume del fegato e della milza, riduzione del volume del cranio, convulsioni, atrofia del cervello, ritardo psicomotorio, anomalie scheletriche e lipocutanee, atrofia olivo-ponto-cerebellare, fibrosi epatica. Altre notizie su http://www.orpha.net/consor/cgi-bin/OC_Exp.php?Lng=IT&Expert=79318.   Continue reading

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  • Gangliosidosi di cosa si tratta

     Gangliosidosi di cosa si tratta

    Si definiscono gangliosidosi un gruppo di malattie del metabolismo di un particolare tipo di lipidi, si tratta nello specifico degli sfingolipidi, il soggetto colpito da questa patologia risente di un accumulo lisosomiale da ascrivere ad una carenza di enzimi attivi nei lisosomi, che sono degli organuli cellulari che hanno la funzione di degradare le molecole, a causa del difetto si evidenzia così un accumulo delle molecole non degradate (gangliosidi). Si possono evidenziare diversi difetti di tipo enzimatico che tendono a determinare due tipi principali di gangliosidosi: GM1 e GM2, la cui trasmissione dipende da mutazioni a carico di geni codificanti per enzimi deputati al metabolismo di lipidi. Le gangliosidosi si trasmettono con modalità autosomica recessiva, con manifestazioni variabili che presentano alcuni sintomi comuni da imputare al precoce processo di degenerazione del sistema nervoso che si verifica a partire dall’infanzia. Per formulare la corretta diagnosi del gruppo di malattie classificabili come gangliosidosi si valutano attentamente le manifestazioni cliniche del paziente, in associazione a delle indagini adeguate quali la misurazione di attività enzimatica e l’analisi genetica che consente di ricercare le mutazioni nei geni coinvolti; all’interno delle famiglie che hanno registrato casi di gangliosidosi si esegue una specifica diagnosi prenatale tramiteanalisi genetica, in seguito ad amniocentesi o villocentesi. Continue reading

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  • Ipotiroidismo disturbi muscolari

    Ipotiroidismo disturbi muscolari

    Si evidenzia un’alterazione del metabolismo della fibra muscolare con conseguente riduzione della forza contrattile in caso di ipotiroidismo che tra le sue implicazioni quindi determina alcuni disturbi muscolari. A causa della diminuzione del turnover proteico sorge un deficit dei processi di riparazione e sostituzione delle proteine miofibrillari, ciò comporta un rallentamento nella contrazione e nel rilasciamento dei muscoli, un disturbo strettamente dipendente con la ridotta attività dell’ATPasi miosinica in combinazione con l’alterazione della captazione del calcio da parte del reticolo sarcoplasmatico, si registra così una riduzione della gittata cardiaca dovuto allo stato di iposensibilità b-adrenergica inoltre l’accumulo di mucopolisaccaridi nel muscolo in maniera discordante. La diagnosi di questo quadro patologico viene formulata attraverso il monitoraggio dei livelli ematici dello stesso ormone tiroideo che risultano essere ridotti mentre quelli del TSH sono elevati, mentre i livelli degli enzimi muscolari, soprattutto quelli della CK, si attestano su valori significativamente incrementati; per una diagnosi più sicura può essere necessario ricorrere ai test elettrodiagnostici e alla biopsia muscolare. Continue reading

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  • Carnitina derivato aminoacidico

    Carnitina derivato aminoacidico

    I pazienti colpiti da malattie che indeboliscono il sistema muscolare risultano carenti dell’aminoacido carnitina (L-Carnitina), si tratta nello specifico di un derivato aminoacidico sintetizzato nell’organismo dell’uomo soprattutto a livello epatico e renale. La carnitina viene sintetizzata a partire dagli aminoacidi lisina e metionina in presenza di niacina, vitamina B6, vitamina C e ferro. Le sostanze nutritive che prendono parte alla costruzione della massa muscolare sono rappresentati principalmente da chetoacidi a catena ramificata (BCKA), alfa-chetoglutarato di ornitina (OKG), boro, picolinato di cromo e L-carnosina. La funzione della carnitina è quella di trasportare di acidi grassi a lunga catena nella matrice mitocondriale, dove gli acidi grassi vengono trasformati in energia per mezzo del processo di Beta-Ossidazione, per questa sua attività quindi la L-Carnitina viene impiegata nella formulazioni di comuni integratori di tipo nutrizionale non solo in campo sportivo ma anche in ambito clinico. Va precisato che questa sostanza è contenuta negli alimenti di origine animale come la carne ma anche in prodotti caseari, una buona concentrazione si ritrova nell’avocado e nei semi di soia fermentati. Continue reading

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  • Bromelina enzimi proteolitici

    Bromelina enzimi proteolitici

    Con il termine bromelina si identificano due enzimi proteolitici estratti dalla polpa e dal gambo dell’ananas, si tratta di sostanze dotate di attività proteolitica, questi enzimi idrolitici prendono parte alla digestione proteica: le proteasi sono in grado di rompere i legami peptidici che legano gli amminoacidi originand le molecole proteiche, ossia di degradare altre proteine in amminoacidi. L’enzima proteolitico viene indicato ai pazienti colpiti da dispepsie, spesso in associazione con estratti pancreatici, ma recentemente gli integratori a base di bromelina vengono ampiamente impiegati per promuovere diversi benefici per la salute come emerso da diversi trials clinici che hanno evidenzato le principali qualità di questa sostanza. La bromelina viene indicata a quei soggetti che risentono di disturbi digestivi per facilitare il processo digestivo da ascrivere all’attività proteolitica degli enzimi, ma questa sostanza possiede altre proprietà quali: antinfiammatorie, antiossidanti, immunomodulanti, antiedemigene, anticoagulanti, antitrombotiche. Continue reading

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  • Malattia di Gaucher: mancanza dell’enzima glucocerebrosidasi

    Malattia di Gaucher: mancanza dell’enzima glucocerebrosidasi

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    A causa della mancanza dell’enzima glucocerebrosidasi insorge la malattia di Gaucher, una patologia ereditaria da imputare ad una mutazione a carico del gene per la glucocerebrosidasi, situato sul cromosoma 1, ciò provoca come conseguenza un accumulo lisososomiale; il soggetto colpito da malattia di Gaucher (omozigote per la mutazione) trasmette ai propri figli geni mutati per la produzione della giucocerebrosidasi. Nello specifico l’enzima glucocerebrosidasi è un enzima lisosomiale in grado di trasformare il glucocerebroside in zuccheri e grassi, in presenza di questo deficit non viene demolito normalmente il glucocerebroside, componente delle membrane cellulari dei globuli rossi e dei globuli bianchi, ciò porta il glucocerebroside ad accumularsi nei lisosomi, inibendo così il corretto funzionamento dei macrofagi che vanno incontro ad alterazione morfologica ingrossandosi per l’eccesso di glucocerebroside; si ricorda che il compito dei macrofagi è quello di fagocitare le cellule invecchiate e poi digerirle servendosi di enzimi contenuti in compartimenti cellulari chiamati lisosomi. Continue reading

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  • Biomarcatori cardiaci: la loro importanza

    Biomarcatori cardiaci: la loro importanza

    Il soggetto colpito da danni a carico del cuore presenta come segni clinici il rilascio in circolo di specifici biomarcatori cardiaci che vengono rilevati e misurati per formulare il corretto quadro patologico del paziente. I test per i biomarcatori cardiaci vengono impiegati per determinare il rischio di sviluppare la sindrome coronarica acuta (ACS) e l’ischemia cardiaca, due patologie che hanno in comune tra di loro un limitato apporto di sangue al cuore e che spesso dipendono dalla stessa causa scatenante rappresentata dalla formazione di placche sulle pareti arteriose: lo sviluppo dell’aterosclerosi provoca il significativo restringimento delle arterie da cui dipende l’ostruzione delle arterie coronarie che portano al cuore. In caso di ischemia cardiaca a causa dalla ridotta quantità di sangue che arriva al cuore il soggetto può risentire di diverse manifestazioni critiche quali: angina, respiro corto, sudorazione. La sindrome coronarica acuta è dovuta dalla rottura di una placca aterosclerotica che determina la formazione di un coagulo nelle coronarie, ne consegue un ridotto apporto di sangue e di ossigeno al cuore a cui si associa la manifestazione di una forma di angina instabile, ossia di dolore prolungato localizzato ad altezza del petto. Continue reading

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